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Banche, serve un'alleanza CF e dipendenti


Banche, serve un'alleanza CF e dipendenti

di Manlio Marucci

Serve un “blocco storico”

L’esigenza di fare un minimo di chiarezza intorno alla complessa problematica che sta coinvolgendo le fasce alte del personale bancario (quadri, funzionari e dirigenti) e i consulenti finanziari da una parte e le grandi lobby bancarie, finanziarie ed assicurative dall’altra è una necessità che si impone - oggi più che mai - al sindacato in modo urgente, quale parte sociale rappresentativa degli interessi di queste categorie, ma altrettanto necessario per i diretti interessati che devono prendere coscienza della realtà del processo di cambiamento in atto che sta interessando tutto il mercato finanziario italiano e non solo. Si assiste infatti, prima con l’entrata in vigore della Mifid e dal gennaio 2018 con la Mifid II, ad una profonda modificazione degli assetti strutturali, organizzativi, gestionali e commerciali delle società di intermediazione e delle attività riservate alle banche. Una rivoluzione che con l’applicazione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) e dei nuovi processi legati al Fintech ha rimesso in discussione i tradizionali modelli dell’organizzazione aziendale e del lavoro con la conseguenza che anche la sua struttura interna e commerciale (di funzioni, di ruoli e di responsabilità) sono destinate - pena la loro fuoriuscita dal mercato - a simili mutamenti.  Alcune domande cruciali: in che modo e in che termini? Come verranno instaurati i nuovi rapporti sociali e che li condizionerà? Sarà garantito ancora il posto fisso che nell’attuale organizzazione del lavoro era ed è ancora considerato un punto di riferimento stabile nel tempo? Questi alcuni degli interrogativi a cui il Sindacato dovrà dare necessariamente una coerente risposta; altrettanto i lavoratori, i professionisti dovranno fare la loro parte, attraverso un costante impegno quotidiano e una partecipazione attiva alla risoluzione della problematiche che si presenteranno. I sintomi di questo cambiamento, derivanti anche dalla pesantissima crisi finanziaria internazionale, sono già a portata di mano (dal 2008 al 2017 il numero dei dipendenti bancari è diminuito da 338mila a 282mila e il numero delle dipendenze è calato da 35mila a 27mila nello stesso periodo –rel.pres. Abi assemblea luglio 2018) e quasi tutti i gruppi bancari e/o assicurativi e le imprese di investimento stanno ripensando a fondo nuove politiche di strategie aziendali scaricando le contraddizioni che ne derivano sul personale dipendente e per i consulenti finanziari esterni riducendone i ricavi variabili derivanti dalle commissioni. Al riguardo è sufficiente ricordare come la forte pressione esercitata durante il varo del Tuf (Testo Unico della Finanza - 1998) dalle associazioni datoriali, queste siano riuscite allora nell’intento di far approvare un articolato che consentisse ai bancari con i relativi requisiti di poter accedere a una nuova professione per l’iscrizione all’albo dei PF (oggi CF) quale quella del consulente finanziario senza che questi si rendessero conto della pericolosità che presenta ancora oggi un “lavoro autonomo per nulla tutelato”. A conferma di ciò è sufficiente evidenziare la mancanza assoluta di alcuni diritti che si ritengono irrinunciabili come: la tutela contrattuale (non esistendo ancora un CCNL o AEC di settore); la scarsa tutela di natura previdenziale ed assistenziale che marginalmente viene assorbita con la doppia imposizione (INPS ed Enasarco); il riconoscimento economico dell’attività prestata nel tempo (salvo il Firr e premi legati a patti di stabilità e non concorrenza leonini); l’obbligo della formazione obbligatoria esclusivamente a carico del CF con scarsa difesa dell’espletamento della propria attività professionale (responsabilità in solido nei confronti dei clienti e della società sia sul piano civile che penale); il riconoscimento della carriera per eventuali ruoli di coordinamento svolti. Il meccanismo perverso che si è voluto imporre con il Decreto lgs n.58/1998, già in essere con il decreto Eurosim del 1996 (D.Lgs n.415/96) e ancor prima con la legge sulle SIm del 1991 (n.1/91), ha avuto ed ha un duplice scopo: da una parte quello di “drenare” dalla banca verso un mercato del lavoro non protetto il personale in esubero, senza che questo personale si renda conto dei pericoli che corre; dall’altra parte di “ammortizzare” il conto economico degli istituti di credito, oggi particolarmente sofferenti anche a seguito della crisi che ha coinvolto tutto il sistema creditizio. Come corollario, amplificare e far esplodere “nuove contraddizioni” e nuovi conflitti di ruolo con la massa dei consulenti finanziari già iscritti all’Albo (OCF), sia come CF per l’offerta fuori sede che come autonomi facendo lievitare i costi per lo svolgimento degli adempimenti richiesti dalla normativa e anche per la forte contrazione dei ricavi a seguito della Mifid II. È un segnale che va captato per la sua portata politica e sociale. Occorre a mio parere far fronte unico: consulenti finanziari e personale della banca per creare “un blocco storico” in grado di riequilibrare i rapporti di forza con l’apparato dominante del potere economico e finanziario. Al di là delle dichiarazioni formali e del vociferare a bassa voce, il sindacato – nel quitum servitium – non ha mai affrontato da oltre venticinque anni seriamente tali questioni: è arrivato il momento di un’analisi critica e di un ripensamento al suo interno per non lasciare governare ancora tale importante questione solo ed esclusivamente ad una sola parte, ovvero ai datori di lavoro, la gestione del ricco patrimonio e del risparmio della famiglie italiane. *segretario generale Federpromm

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