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Un contributo al dibattito in corso sull'inducements

L'avvocato dei cf - Taglio degli incentivi, ecco le conseguenze per i consulenti finanziari La riforma della disciplina dei servizi di investimento che porterebbe al divieto delle retrocessioni ha creato da inizio anno un dibattito fra chi sostiene il cambiamento e chi teme una penalizzazione per i risparmiatori. Ecco cosa aspettarsi

DI MARCO DA VILLA (articolo uscito su Citywire Italia il 2 marzo 2023)

Da inizio anno si è alimentata una vivace discussione da quando il legislatore europeo ha paventato di inserire nella prossima riforma della disciplina dei servizi di investimento un radicale divieto degli incentivi, con la conseguenza che verrebbero a mancare ai distributori, consulenti finanziari compresi, le cosiddette retrocessioni. I pareri in merito sono davvero discordanti e si stanno creando fazioni opposte: ci sono i sostenitori di questa ipotesi, posto che per loro finalmente andrebbe eliminata, a tutto vantaggio degli investitori, una grave distonia dell’attuale mercato e ci sono coloro che, all’opposto, ritengono che i risparmiatori finirebbero con l’essere penalizzati, in quanto dovrebbero farsi carico di un aggravio dei costi. A prescindere da tutte queste opinioni, analizziamo la questione solamente dal punto di vista dei consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, cercando di capire le conseguenze per questi ultimi in caso di reale divieto degli inducements. Istintivamente, il pensiero si rivolge subito agli aspetti economici e non a torto; ad oggi i cf sono per la maggioranza dei casi inquadrati quali agenti di commercio la cui remunerazione base è rappresentata dalle provvigioni: poiché la provvigione è un compenso espresso in percentuale su di un valore, anche se l’aliquota provvigionale rimarrà la stessa ma si ridurrà la base di calcolo ecco che il cf avrà, indubbiamente, una contrazione dei suoi guadagni. Inoltre, i minori introiti provvigionali influenzeranno, alla lunga, in negativo anche le indennità spettanti all’agente, su tutte l’indennità di mancato preavviso e di fine rapporto (suppletiva di clientela o 1751 c.c.). Il rischio, che poi è anche un rischio sociale, sarà quello di vedere accentuarsi la moria dei consulenti più piccoli con portafogli di dimensioni inferiori ai 10 milioni di euro, i quali si troveranno ad avere maggiori difficoltà a “sbarcare il lunario”. Per di più, in tutti i mandati di agenzia dei cf, vi è sempre la clausola per la quale “la società si riserva di modificare le tabelle provvigionali”, pertanto, le mandanti, ove dovessero vedere ridotti i propri margini di guadagno, avrebbero per contratto il diritto di adeguare le tabelle provvigionali finendo con il pagare provvigioni ridotte, in quanto decurtate dal mancato incasso delle retrocessioni. Di sicuro per le società preponenti agire in questo modo non sarebbe un obbligo; tuttavia, è significativo ricordare che ne avrebbero la facoltà senza che il cf potrebbe, in qualche modo, opporsi, visto che detta facoltà era stata inserita nel contratto di agenzia e di fatto, con la firma del mandato, accettata dall’agente. Un possibile rimedio potrebbe derivare dall’articolo 3 degli Accordi Economici Collettivi per il settore commercio che disciplina le variazioni unilaterali di zona e/o di prodotti e/o di clientela e/o della misura delle provvigioni; si tratterebbe, purtroppo, di un palliativo in quanto l’articolo in questione non impedisce la modifica unilaterale ma prevede che se la stessa è di lieve entità nulla si possa contestare, che se è di media entità potrà essere realizzata previa comunicazione scritta all’agente con un preavviso di almeno 2 mesi per i plurimandatari, ovvero 4 mesi per i monomandatari ed, infine, che se di sensibile entità l’agente potrà opporsi ma la sua non accettazione alla modifica costituirà preavviso per la cessazione del rapporto ad iniziativa della casa mandante. Sul piano delle regole di condotta e della responsabilità, osservo che nulla cambierebbe. Il cf abilitato all’offerta fuori sede, indipendentemente dalla ricezione di una quota parte delle retrocessioni, avrà sempre l’obbligo di comportarsi perseguendo l’obiettivo di agire al meglio per il cliente. In poche parole, ad un minor guadagno non corrisponderanno un minor dovere di attenzione per il cliente ed una minore responsabilità. A tale ultimo proposito mi sovviene una riflessione. L’attuale considerando n. 77 della direttiva “Mifid 2” prevede che: “Per tutelare ulteriormente i consumatori, è altresì opportuno garantire che le imprese d’investimento non remunerino o valutino i risultati del loro personale in contrasto con il loro dovere di agire nel migliore interesse dei clienti, ad esempio mediante una remunerazione, obiettivi di vendita e altri mezzi che forniscano un incentivo a raccomandare o vendere un particolare strumento finanziario allorché uno strumento diverso potrebbe rispondere meglio alle necessità del cliente”. A mio parere questo principio rappresenta, già oggi, un valido baluardo a che il riconoscimento degli inducements non generi conflitti di interessi o comportamenti pericolosi per i risparmiatori. Infatti, invece di modificare l’impianto normativo, basterebbe applicare il principio di cui sopra nei riguardi degli intermediari, e non solo a carico dei consulenti, in modo più rigido e drastico; in fondo sono proprio gli intermediari, con le loro politiche commerciali, a spingere il cf verso taluni prodotti piuttosto che verso altri, comprimendo la sua libertà, quale professionista, di predisporre la strategia di investimento che ritiene più consona per il suo cliente. Sono certo che, molte delle problematiche per le quali si vorrebbe eliminare le retrocessioni, verrebbero meno se il consulente fosse libero di scegliere i prodotti sapendo che la sua remunerazione rimarrebbe pressoché la stessa a prescindere dallo strumento finanziario individuato nell’interesse del cliente. Per raggiungere un tale obiettivo non è necessario tagliare gli incentivi, basterebbe mantenerli ed al contempo evitare, anche con provvedimenti pesanti, che le mandanti non differenziassero, in modo economicamente penalizzante per i cf, la remunerazione della loro rete distributiva a seconda del prodotto consigliato/venduto/indicato all’investitore. La correttezza, la preparazione e la sensibilità sono qualità che i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede hanno in misura ben superiore a quello che mediamente si pensa; senza condizionamenti sul piano retributivo tali qualità, senza colpe del cf molte volte arginate dalle preponenti, emergerebbero ancora di più.

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