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Consulenti finanziari, serve un nuovo contratto. Vincerebbero tutti, anche le reti

Redazione P&F 31 luglio 2022

Un nuovo contratto di lavoro che attribuisca maggiore stabilità converrebbe anche alle reti, poiché renderebbe più attrattiva la professione, faciliterebbe il reclutamento dei bancari e favorirebbe il ricambio generazionale. Di Manlio Marucci*

La storia delle rivendicazioni sindacali relative alla categoria dei consulenti finanziari è lastricata di difficoltà formali e sostanziali. Paradossalmente, le principali organizzazioni che raggruppano sia i consulenti che le società mandanti non hanno – o non hanno più – le caratteristiche necessarie per affrontare questa tipologia di argomenti così sentiti dai professionisti del risparmio. Infatti, ANASF – associazione che conta circa 12.000 iscritti – non è un sindacato, mentre Assoreti, a cui più volte abbiamo sottoposto l’opportunità di affrontare in modo organico il tema delle modifiche all’accordo economico collettivo (AEC) dei consulenti finanziari, da statuto non ha la delega a trattare problemi di natura sindacale. Tutto ciò, senza dubbio, penalizza il dibattito sulla stabilità del rapporto lavorativo con i vari intermediari e, soprattutto, mortifica il necessario processo di razionalizzazione professionale, economico, normativo e previdenziale dell’intera categoria.

Infatti, è evidente che, dopo tre decenni di evoluzione della professione, serva un contratto che sia sganciato dalle logiche tipiche degli agenti commerciali, che nulla hanno a che fare con le problematiche legate agli investimenti e al risparmio. Pertanto, la circostanza di non poter trovare uno sbocco tecnicamente e giuridicamente perfetto nel duopolio ANASF-Assoreti – che lavorano in una relazione di partnership pubblicamente riconosciuta da entrambi – ci spinge oggi a confrontarci con l’ABI, che però tratta solo con le organizzazioni sindacali del personale bancario dipendente. Fortunatamente, esiste tra i bancari una forte componente – circa 13.000 risorse umane – regolarmente iscritta all’OCF, e questo dovrebbe spianare la strada per far trovare alla figura professionale del consulente una sua precisa collocazione all’interno del settore.

Peraltro, la sempre più incisiva campagna di reclutamento rivolta dalle reti di consulenza finanziaria al mondo dei dipendenti di banca sancisce un secondo e più stretto collegamento tra i “due mondi”, che nessuno degli interlocutori può far finta di non vedere. L’esistenza di un contratto di lavoro che attribuisca maggiore stabilità, pertanto, renderebbe più attrattivo il passaggio dal lavoro subordinato a quello autonomo e, quindi, sarebbe nell’interesse delle stesse reti, che dal reclutamento dei bancari stanno traendo nuove risorse umane da professionalizzare ulteriormente e nuove masse da gestire. Inoltre, non è superfluo sottolineare che eliminare il senso di precarietà generato dalla obsoleta forma contrattuale non è certo utile per affrontare il ricambio generazionale e attrarre i neolaureati più brillanti, i quali oggi preferiscono altre tipologie professionali pur avendo tutte le caratteristiche per avere successo come consulenti finanziari.

Per risolvere questa impasse storica stiamo sviluppando con ABI un rapporto di collaborazione, attraverso il quale confrontarci già al prossimo rinnovo del contratto dei bancari. Avere un Accordo quadro di contratto, che dia una soluzione razionale a tutto il settore dell’intermediazione finanziaria e assicurativa, eliminerebbe lo schema standard oggi strutturato al solo vantaggio delle società mandanti. Basti pensare che il mandato di agenzia classico per i consulenti finanziari è senza rappresentanza, tuttavia esso prevede, a fronte di poche tutele in capo ai consulenti, talmente tanti obblighi formali (imposti anche dalla stringente normativa della Mifid II) da far sembrare l’assenza di rappresentanza quasi come una contraddizione in termini.

Tale situazione ha generato negli ultimi venti anni moltissimi contenziosi legali che, attraverso un contratto di riferimento più equilibrato, non sarebbero neanche sorti. Sfortunatamente, e nonostante siano state attivate tutte le iniziative del caso, anche presso il Ministero del Lavoro non vi è mai stata una precisa volontà politica di affrontare razionalmente i vari problemi che il sindacato ha più volte segnalato. Eppure, a livello normativo, l’odierna piattaforma contrattuale prevede dei richiami ormai anacronistici. In primo luogo, relativamente alla previsione di natura, oggetto del contratto, obblighi del consulente e della mandante e controversie, questi elementi sono già contenuti nella normativa di riferimento per l’intera categoria, per cui la loro semplice previsione in un contratto, oltre a rappresentare una inutile duplicazione – basterebbe un rinvio alle norme vigenti – pone il rischio di una deviazione dalla normativa e di possibili contenziosi legali futuri. In secondo luogo, nell’attuale contratto alcuni elementi risultano gravemente indeterminati: 1) offerta di valori, prodotti e servizi mobiliari, 2) informazioni e controlli, 3) inadempimenti, 4) previdenza (Inps, Enasarco, fondo pensione aziendale), 5) titolarità del portafoglio, 6) modalità d’indennizzo, 7) regime fiscale, 8) recesso del consulente e/o della mandante.

Questo modello così squilibrato e privo di certezze dovrebbe essere superato da una struttura contrattuale composta da tre parti fondamentali. La prima è quella normativa, in cui vengono richiamati gli aspetti della regolamentazione, comunitaria e nazionale, con specifici allegati; la seconda è quella professionale, che riguarda tutti gli elementi legati della declaratoria delle funzioni che compongono il profilo della qualifica professionale del consulente (requisiti, ruolo, funzioni, responsabilità, attività svolte, livelli di budget, ecc); la terza parte è quella economica, che invece è legata al specifico trattamento ricevuto dal consulente in funzione dell’inquadramento all’interno della singola organizzazione, e che descrive la retribuzione fissa e soprattutto quella variabile, richiamandosi alle direttive comunitarie (ESMA) e a quelle di Banca D’Italia (circolare 285/2013 e successivi aggiornamenti) che hanno determinato la retribuzione ricorrente e quella non ricorrente per tutti i soggetti abilitati.

In particolare, è interessante la figura del consulente-manager, con la sua funzione di coordinamento che dovrebbe essere inquadrata a livello contrattuale di categoria, e non più come lettera accessoria della singola mandante. Infatti, le varie figure di coordinamento (SPV, District Manager, Area Manager etc) dovrebbero trovare una precisa definizione e collocazione all’interno dell’Accordo Economico Collettivo Nazionale di Lavoro, proprio per dare contenuto specifico ai singoli ruoli ricoperti nell’azienda mandante, in moda tale da evitare la creazione, da parte delle varie società mandanti, di ruoli differenti – sia per denominazione che per competenza – da quelli definiti nella piattaforma contrattuale. Servono, in sintesi, dei ruoli chiari e riconoscibili da tutti, tali da generare trasparenza anche nei passaggi da una azienda all’altra, in occasione dei quali esiste una vera e propria jungla di bonus e patti di stabilità vincolanti che ha generato una concorrenza di settore non proprio trasparente.

Inoltre, oggi c’è una sproporzione palese tra le parte fissa e quella variabile della retribuzione dei consulenti finanziari, e la parte variabile è ancora eccessivamente legata agli obiettivi commerciali delle società mandanti. Con la nuova piattaforma intendiamo introdurre criteri di categoria per la parte fissa e per quella variabile, così come vogliamo dare soluzione al problema della doppia previdenza obbligatoria Inps/Enasarco, nel senso che i contributi versati dai consulenti nella Fondazione degli agenti di commercio verrebbero raggruppati in un fondo pensione negoziale aperto a consulenti finanziari, subagenti assicurativi e agenti in attività finanziaria, al fine di dare una prospettiva seria ai giovani e ai nuovi ingressi nel nostro settore, facendo confluire anche il trattamento di fine rapporto (Firr).

Naturalmente, in tema di vigilanza sul rispetto del nuovo contratto quadro si pone lo stesso problema già incontrato in tema di delega a trattare problemi di natura sindacale: Assoreti, com’è noto, non può farlo da statuto, per cui le commissioni paritetiche dovrebbero essere formate da ABI e dai sindacati. L’ABI, peraltro, è la controparte datoriale bancaria, per cui ci si chiede se il contratto-quadro possa avere validità anche per le reti non bancarie (es. Azimut). La risposta è che non si tratterebbe di un contratto valido erga omnes – come invece avviene nel settore pubblico – ma di un contratto vincolato solo al personale che ne accetta e ne sottoscrive, attraverso le loro associazioni datoriali, il modello di riferimento (AEC e CCNL). Ciò non toglie, pertanto, che se Assoreti modificasse il proprio statuto in modo tale da poter finalmente prendere parte al confronto su queste tematiche, sarebbe un passo utile per tutto il settore.

I consulenti finanziari, ormai, hanno preso coscienza del fatto che, se vogliono sopravvivere in modo dignitoso, devono trovare la forza per sindacalizzarsi e tutelare i propri interessi. Infatti, i continui tagli di questi ultimi 15 anni ai margini di redditività dei consulenti hanno fatto riflettere molti di loro sull’importanza di una maggiore protezione della posizione economica e professionale. Le reti, invece, devono riflettere maggiormente sugli effetti positivi di lungo termine che potrebbero derivare anche per esse dall’aggiornamento della piattaforma contrattuale, soprattutto in termini di recruiting di bancari di alto profilo e di abbassamento dell’età media dei consulenti. Con un contratto che attribuisca maggiore stabilità, infatti, vincerebbero tutti.

* Presidente sindacato Federpromm

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