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Consulenti, è tempo di rifare il contratto

DI MATTEO CHIAMENTI bluerating 14 ottobre 2022

Tra i temi annosi che coinvolgono il mondo della consulenza finanziaria in Italia, vi è sicuramente quello del rapporto, formale e informale, che regola le dinamiche lavorative tra professionista e mandante. Lasciando da parte gli aspetti relazionali e concentrandoci su quelli giuridici, il ben noto contratto di agenzia ha fino a ora rappresentato la prassi in materia, probabilmente ben adattandosi a uno scenario in cui i servizi di advisory risultavano ancora piuttosto limitati e la figura del consulente ancora viveva degli echi commerciali della promozione finanziaria.

Da promotore ad advisor Già, il promotore finanziario, termine in uso fino all’avvento della legge n. 208 del 28 dicembre 2015, art.1, comma 39 (che lo sostituì col vagamente cacofonico consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede) e che ormai sembra oggettivamente riduttivo della funzione svolta dai professionisti moderni, sempre più esperti di finanza e patrimonialità a 360 gradi. Il semplice ruolo di venditore di prodotti finanziari è lontano (se mai sia esistito), così come certamente non sono semplici nella loro struttura le divisioni dedicate a questa offerta di servizi. Aggiungiamoci un contesto normativo (leggasi Mifid 2) e di mercato dove i rischi della professione sono sempre più articolati ed ecco che può sorgere spontanea la domanda: non è forse arrivato il momento di pensare a qualcosa di diverso?

Plebiscito online C’è stato chi, come il gruppo Intesa Sanpaolo, ha avuto modo di sperimentare il cosiddetto rapporto ibrido, cioè un inquadramento che unisce assieme un’assunzione come dipendente bancario part time, a cui si aggiunge la libera professione come consulente finanziario con la partita iva. Tuttavia questa soluzione non sembrava avere conquistato il favore dei professionisti, con sindacati e associazioni che si dichiararono piuttosto perplessi; ecco perché il tema del contratto di consulenza è sempre caldo e non è un caso se un recente sondaggio su Bluerating.com abbia visto un plebiscito a favore dell’ipotesi di una revisione del rapporto in essere tra cf e mandanti. Insomma un problema sussiste e non è di poco conto, anche se fino a ora la politica sembra essere rimasta ferma al palo, come commentava su LinkedIn già nel 2020, il recruiter di private banker Antonio Mazzone: “Contratto unico di categoria e contratto collettivo nazionale per i consulenti finanziari mandatari o agenti… se ne parla da vent’anni, ma ad oggi azioni di lobbying serie e concrete non se ne sono viste. Dovrà contenere regole specifiche su tutte le parti di interesse della categoria (liquidazione delle provvigioni, rimborso spese, malattia e infortunio dell’agente, cause di scioglimento del mandato, preavviso, indennità di risoluzione, indennità di portafoglio, indennità suppletiva di clientela, atti volontari di previdenza, esclusione del patto di non concorrenza, commissioni paritetiche di conciliazione, durata dell’accordo)… a quando?”. In merito alla struttura di un nuovo possibile contratto, qualche settimana aveva fatto rumore l’intervento pubblico di Manlio Marucci, segretario generale di Federpromm. Per Marucci servirebbe “un contratto che fosse sganciato dalle logiche tipiche degli agenti commerciali, che nulla hanno a che fare con le problematiche legate agli investimenti e al risparmio”. Più nel dettaglio Marucci individua tre elementi chiave per la definizione di un nuovo rapporto tra mandante e consulente: “Questo modello così squilibrato e privo di certezze dovrebbe essere superato da una struttura contrattuale composta da tre parti fondamentali. La prima è quella normativa, in cui vengono richiamati gli aspetti della regolamentazione, comunitaria e nazionale, con specifici allegati; la seconda è quella professionale, che riguarda tutti gli elementi legati della declaratoria delle funzioni che compongono il profilo della qualifica professionale del consulente (requisiti, ruolo, funzioni, responsabilità, attività svolte, livelli di budget); la terza parte è quella economica, che invece è legata allo specifico trattamento ricevuto dal consulente in funzione dell’inquadramento all’interno della singola organizzazione, e che descrive la retribuzione fissa e soprattutto quella variabile, richiamandosi alle direttive comunitarie (Esma) e a quelle di Banca D’Italia (circolare 285/2013 e successivi aggiornamenti) che hanno determinato la retribuzione ricorrente e quella non ricorrente per tutti i soggetti abilitati”. All’interno di questo manifesto Marucci ha lanciato un appello al dialogo con le istituzioni, citando in particolare Abi, sottolineando invece le difficolta di un confronto con Assoreti e Anasf, data “la relazione di partnership pubblicamente riconosciuta da entrambi”. Pronta è arrivata su Bluerating.com la replica dell’associazione guidata dal presidente Luigi Conte, il quale ha avuto modo di sottolineare che su questo tema: “Anasf ha suonato un campanello di allarme già nel lontano 2011 in occasione del Congresso nazionale di Parma, che ha portato nel 2014 alla stesura di una proposta concreta di un nuovo contratto, stilata con l’intento di rendere la professione più appetibile e adeguata alla realtà lavorativa. Il contratto europeo di consulenza finanziaria proposto intendeva valorizzare l’attività professionale con un modello comune per la categoria, che ciascuna società mandante avrebbe potuto adattare sulla base delle proprie esigenze, della struttura societaria, dei propri aspetti caratterizzanti e del proprio business, e che determinasse una netta distinzione rispetto a quello in vigore per gli agenti di commercio”.

Stabilità e redditività Tra i principali obiettivi del contratto, composto da 19 articoli, vi era quello, prosegue Conte: “Di recepire compiutamente le norme vigenti, rivedere la previdenza del consulente finanziario, stabilizzare la redditività professionale, reintrodurre una forma di tirocinio o praticantato per favorire il ricambio generazionale e migliorare la tutela dei risparmiatori. Obiettivi che l’Associazione negli anni ha cercato di perseguire anche attraverso un dialogo aperto con le diverse mandanti per trovare intendimenti condivisi su cui collaborare”. Il modello quindi ci sarebbe, ma la discussione sembra tutt’altro che risolta, come ha avuto modo di replicare nuovamente Marucci: “La struttura del modello contrattuale a suo tempo presentata da Anasf è uno schema di perfezionamento dell’attuale contratto di agenzia applicato in modo standardizzato da quasi tutte le reti di collocamento riguardante il rapporto tra cf e intermediario. Sostanzialmente si ripropone, salvo qualche aggiunta migliorativa sull’estensione del welfare (art.4) e previdenza (art.15), uno standard già collaudato a vantaggio della mandante che alla luce delle modificazioni sostanziali intervenute dopo l’applicazione della Mifid 2 non trovano una rispondenza alle reali esigenze della categoria dei cf. Trovo inoltre che vi sia confusione anche nella formulazione dell’art.12 sulla remunerazione che non tiene conto delle direttive impartite da Bankitalia con la Circolare 285/2013 e sue modificazioni tra parte fissa e parte variabile; in particolar modo il Titolo IV riservato alle figure dei cf e di coordinamento (manager)”. In sostanza, “pur apprezzandone il grande sforzo di elaborazione fatto dall’associazione”, per Marucci non ci sono, “elementi che possano dare un contributo concreto e valido alla proposta presentata”.

Confronto aperto Insomma il dibattito sembra essere tutt’altro che chiuso e una possibile intesa su un nuovo rapporto di lavoro condiviso tra professionista e mandante appare al momento un’ipotesi piuttosto remota. Questo anche perché uno dei due interlocutori fondamentali del mercato, il mondo delle reti, sembra al momento volersi tenere fuori dalla discussione; cosa che ha fatto anche Assoreti, l’associazione rappresentativa delle maggiori banche-reti attive in Italia, quando BLUERATING ha cercato di interpellarla sull’argomento, sottolineando che “non avendo statutariamente l’associazione mandato in materia, non è proprio possibile esprimere considerazioni”. Per ora, quindi, tutto è ancora nelle mani dei consulenti, solo loro, ancora loro. D’altra parte, come ci ricorda Martin Luther King, ogni rivoluzione, foss’anche contrattuale aggiungiamo noi, “è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato”.

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