Il ricambio generazionale nell’ambito della consulenza finanziaria è certamente uno degli aspetti su cui riflettere nella prospettiva attuale e futura della professione se si pensa che meno del 2% dei consulenti è attualmente composto da giovani con meno di 30 anni e che l’età media si attesta generalmente oltre i 50 anni.
Recentemente tali problematiche sono state sollevate da una vasta platea di interlocutori; dalle associazioni di tendenza e organizzazioni di categoria che preoccupate degli scenari futuri e quindi della perdita di una forza lavoro intellettuale per la professione svolta dal consulente finanziario, scalpitano per trovare soluzioni tampone al fine di mantenere un organico nelle reti di collocamento che sia in grado di potenziare il loro business e i loro affari. Meraviglia infatti anche l’interesse dei media nel veicolare una comunicazione a senso unidirezionale senza mettere in rilievo i veri problemi strutturali che hanno determinato nel tempo questa situazione. Prospettare ipotesi solo sul piano formativo con le università – come spesso il dibattito in corso ha canalizzato gli interventi da fare – o invogliare i giovani con borse di studio e minimi appannaggi economici non fa altro che renderli precari nel circuito delle relazioni e della intelaiatura dei rapporti contrattuali all’interno del sistema delle reti.
Federpromm-Uiltucs più volte è intervenuta sul tema mettendo in evidenza le reali contraddizioni che lo stesso sistema ha messo in piedi fin dal 1991 con la legge sulle Sim con l’applicazione del modello dei contratti di agenzia, senza rendersi conto che prima o poi tale sistema entrava in tilt. E oggi questa è l’amara constatazione: un mea culpa con la trappola dell'indifferenza .
Tuttavia pur riconoscendo l’interesse delle riflessioni proposte senza voler fare polemiche, resta il fatto che la professione di consulente presenta per un giovane momenti di difficoltà che non possono essere ignorati e primo fra tutti proprio la sua definizione a livello contrattuale: il “contratto di agenzia”. Contratto di agenzia - come detto - porta necessariamente il consulente a individuare possibili potenziali sottoscrittori prevalentemente sui prodotti e servizi della casa mandante a cui è legato dal vincolo di “monomandato” che non permette allo stesso consulente di prospettare al cliente una visione a tutto campo dei servizi e prodotti finanziari presenti sul mercato, anche se gli attuali obblighi normativi prevedono la best execution per la tutela dello stesso cliente. Inoltre quanto raccolto va a formare un pacchetto clienti la cui titolarità è della casa mandante e non del consulente che se vuole esperire un nuovo percorso deve iniziare nuovamente l’iter della raccolta di nuove sottoscrizioni.
Pertanto definire “lavoro imprenditoriale” la consulenza finanziaria attualmente è un po’ azzardato nonostante sia importante navigare in tale direzione e cercare soluzioni adeguate che comunque vedano una revisione del contratto di agenzia e di conseguenza del rapporto di monomandatario. Revisione senza dubbio laboriosa che però non è risolta dalla figura del “consulente indipendente”, aggiunta ad una garanzia di reddito per i primi mesi di attività messa potenzialmente in campo soprattutto dalle reti.
Non si tratta di lavorare per alzare il numero dei consulenti quanto piuttosto dare alla professione una dignità e un riconoscimento che ne "premi la professionalità", importante per l’economia del Paese in quanto si tratta di assistere consigliare e indirizzare al meglio il risparmio delle famiglie italiane, e anche l’imprenditorialità che potrà essere declinata anche come una maggiore fidelizzazione alla attività.
Comentários